venerdì 20 giugno 2008

RIGONI

Bepi me l'ha mandato per il coro:



da Il Giornale di Vicenza

“La neve verrà leggera come piccole piume d’oca, soffermandosi prima sugli alberi, quindi filtrerà tra i rami posandosi sui cortinari gelati, sugli arbusti di mirtillo, sul muschio…”. Si chiudono così, le quaranta pagine di “Inverni lontani” stampate da Einaudi nove anni orsono.
Io sono certo che in Altipiano, stanotte, nello slargo segreto degli urogalli, il vento di tramontana spargerà una piccola neve. E Asiago, nell’alba, suonerà a lungo il Matìo, il campanone del duomo.
“Ho scritto a Rigoni Stern e mi ha risposto!”. Così le esclamazioni di tanti amici sorpresi dalla sua generosità. Certo: rispondeva a tutti, magari con un breve pensiero, un rapido e poetico saluto. Come nelle dediche sui libri, sempre felici, personalizzate, con l’invito a camminare la montagna, a respirare i boschi. Era meno paziente con gli imperversanti grafomani che perlopiù gli mandavano romanzi da nulla.
E il pellegrinaggio degli ammiratori, dei devoti, anche dei turisti curiosi, che per gli asiaghesi sono pur sempre “i foresti”.
Ma nella casa solitaria al limite del bosco, l’Arboreto salvatico, ha sempre vigilato con intelligente attenzione, con discrezione e dolcezza innamorata, la signora Anna.
Questo suo tempo ultimo prima della malattia è stato libertà, libertà, libertà, più di sempre libertà. Libertà dalle mode delle piccole patrie, come le smanie di passare al Sudtirolo dei suoi compaesani eccitati: “Quanto è difficile, Bepi, convivere con gli imbecilli”. Ironia e libertà dalle angosce politiche: teneva nell’angolo fresco della cantina una bottiglia di bianco friulano per festeggiare l’uscita di scena del Cavaliere. Ma la beveva poi con gli amici, periodicamente, sorridendo sconsolato, e ne metteva una nuova dell’ultima annata. Lo volevano far senatore e ogni tanto qualcuno raccoglieva anche le firme. Dio mio! andare laggiù, accanto agli sbeffeggiati, agli umiliati dalla gentaglia che non riconosce i meriti della scienza, dell’arte, della sapienza, della saggezza. Magari qualche revisionista gli avrebbe urlato che Mussolini aveva mandato gli alpini in Russia per fare le vacanze sulla neve. Non aveva già detto, quello là, che gli oppositori del regime venivano graziosamente tenuti per anni nelle isole delle vacanze esclusive?
Ai ragazzi delle scuole diceva sereno: “Spegnete la televisione e giocate, ma giocate all’aperto: per capire le ore del giorno, per entrare nei segreti delle stagioni; inventateli, i giochi, e correte, e gridate la gioia di vivere”. Poi, guardandosi intorno, severo con gli insegnanti, aggiungeva immancabilmente “e leggete di tutto, ma proprio di tutto, per capire e amare le storie e le genti del mondo”.
Teneva sul balcone, all’entrata di casa, la bandiera della pace, leggera nel vento davanti al Moor che gli ricordava le sere d’estate con l’indimenticabile Gigi Ghirotti. Aveva raccontato a lui per primo la Storia di Tönle.
In dicembre dell’anno scorso si doveva andare insieme a Solagna, lui a raccontare, io a cantare pian piano ciò che mi chiedeva, a leggere della sua neve, degli inverni, degli amici mai più ritornati, dell’Albania, della Russia, dei Lager nazisti dove aveva vissuto l’orrore. Ma c’è stato il primo annuncio del male. E siamo rimasti tutti in doloroso silenzio. Mesi prima, in una mattina di sole asiaghese, si era impegnato per il No Dal Molin. E subito quella livorosa di Vicenza a scrivere di lui militarista! volontario a combattere prima i francesi, poi i greci e infine i comunisti. Volontario? “Sull’Altipiano, per noi ragazzi c’era un detto: o prete, o frate, o fuori con le vacche”. A diciassette anni aveva anticipato il servizio militare che prometteva scalate e sciate in montagna. E lo ha colto la guerra.
Nell’Adunata degli alpini l’hanno portato in Ortigara con l’elicottero.
Lassù, per la messa, gli avevano riservato un posto accanto a un politico logorroico e bigotto, uno dei tanti saltapartito, immancabile con altri esibizionisti anche sul palco d’onore alle sfilate, come a Bassano. Ma lui, Mario della pace, sulla cima della sua Montagna, svicolando, si è tenuto lontano dai figuri del potere confondendosi tra gli alpini “pazienti, quasi rassegnati per una predica che non finiva mai: ma chi l’ha detto che intorno alla Colonna Mozza si debbano ripetere le solite fiabe del catechismo con il moralismo da messa prima?”.
Quando Montebelluna - un’isola di speranza nella trevigianità stordita dal leghismo - lo ha nominato cittadino onorario, è rimasto là tre giorni per incontrare tutti: i ragazzi delle scuole, gli artigiani, i contadini, la gente che gli faceva festa. La domenica mattina, molto presto, in quel duomo enorme, buio e glaciale, abbiamo intonato insieme anche i salmi di Turoldo: “Quando si canta la poesia, a messa non mi annoio mai”. Qualche settimana dopo, per una sua lucida e inattaccabile dichiarazione sul significato di “eroe di guerra” legata ai nostri soldati professionisti e ben pagati mandati in missione in Iraq, i consiglieri comunali della destra pretendevano che restituisse la cittadinanza onoraria.
Ad Asiago, alla vigilia dell’Adunata, la solita impettita consigliera regionale, mentre passava nella via principale con la sua corte, è stata vista prendere a calci il banchetto di cartone di un innocuo e silenzioso ambulante extracomunitario. Gli alpini l’hanno saputo subito. E Mario, spinto suo malgrado a partecipare alla sfilata seduto in camionetta, quando è passato davanti al palco si è girato dall’altra parte.
Libertà, libertà, libertà. Ma che beffa morire nel tempo oscuro del revisionismo, del negazionismo, con Berlusconi imperante!
Ora sto qui a piangere. E m’ingroppano ancor più i passati inverni delle nostre brevi camminate mattutine insieme a Carlo Geminiani. “La neve verrà leggera come piume d’oca, soffermandosi prima sugli alberi…”.
Nell’armoniosa stanza d’entrata della sua casa, con la scala in fondo che porta “di sopra”, c’è la scultura in bronzo di Augusto Murer, “Il sergente nella neve”. È un’immagine dolorosa nella tormenta. Lì, tra le pareti di legno bruno, noi amici più cari abbiamo sempre parlato sottovoce.

Bepi De Marzi

1 commento:

Euryanthe ha detto...

Che persona grande, che se n'è andata... è proprio vero: siamo "nani sulle spalle di giganti".