domenica 29 giugno 2008

serata a Sirmione

Un grande in bocca al lupo a tutto il coro per la meditazione di stasera,spero possa andare tutto bene anche se il coro è un pochetto dimezzato...Sicuramente sarà una di quelle serate emozionanti ed interessanti come solo il coro di S.M.M riesce a fare...
Ocio al Dixit Maria :-)
ciii

sabato 28 giugno 2008

Sarebbe da non perdere

Fiero l'occhio, svelto il passo

Bepi De Marzi: FIERO L'OCCHIO, SVELTO IL PASSO, canti di guerra o canti per la guerra?
Lunedì 7 luglio ore 21.00. Teatro di Velo Veronese. Ingresso gratuito.
Giovinezza, nata come “operetta” nel 1909, è passata in trent’anni lungo tutte le elaborazioni, i rifacimenti, le parodie possibili. Diventato “canto del regime”, è stata ignorata la sua origine vagamente goliardica, operettistica, per sostenere l’impegno delle generazioni verso l’unico scopo del Fascismo: la guerra. Anche Bella Ciao non è mai stato intonato durante la Resistenza perché è un adattamento - operato a Berlino dalla Gioventù Comunista Italiana nel 1948 - di un canto di mondine proveniente da una filastrocca infantile, probabilmente ispirata a un melodia della tradizione klezmer. Bepi De Marzi, colto dissacratore dei miti, tra canti e suoni, racconterà tutto questo, senza escludere gli inni dell’Azione Cattolica e della Democrazia Cristiana.

giovedì 26 giugno 2008

Prove di giovedì 3 luglio

Giovedì 3 luglio la prova si terrà nella piscina di Paola.
Uniremo al piacere di cantare nell' acqua (Zingen in wasser)
10 minuti di canto vero per la Messa del 6 luglio al Santuario di S.Felice.
Grazie a Paola per l'invito.

sabato 21 giugno 2008

Carlo Geminiani

Sempre da Bepi.
Carlo Geminiani è mancato una settimana prima di Mario Rigoni Stern ed è stato l'autore dei testi di molte "cante" musicate da Bepi.



da Il Giornale di Vicenza


Ragazzo nella sua Faenza. Esce nel pomeriggio per un giro in bicicletta. Arrivato in periferia, la città viene bombardata dalle fortezze volanti americane. Sotto le macerie della sua casa muoiono la mamma e la sorella. Il papà è in guerra. Disperato, affida il fratellino ai parenti e si arruola nell’esercito della Repubblica di Salò. Ha diciotto anni. Carlo Geminiani non ha mai fatto mistero della sua storia. Siamo diventati amici nel 1963, intorno alle sue strofe ispirate da “Centomila gavette di Ghiaccio” di Giulio Bedeschi. Quando venne ad Arzignano con i suoi camerati, rimanendovi pochi mesi, io ero un bambino. E qui conobbe Eliana Aldighieri, che a guerra finita sarà sua moglie. Era poi passato in Piemonte, nelle aspre Valli Ossolane. A Premosello era stato avvicinato da una giovane della Resistenza che gli aveva detto: “Sappiamo che tu sei giusto e generoso, che aiuti la gente e non fai male a nessuno. Se vuoi, adesso che tutto sta per finire, noi possiamo salvarti”. Naturalmente, rifiuta. Processato alla fine della guerra, il giudice di Bologna gli dice: “Lo so che non hai commesso niente di male, ma devo condannarti lo stesso”. Tre anni di carcere nella Fortezza di Volterra e la libertà a Milano, dove conosce Antonio Pellizzari e Beppe Bedeschi. Eccolo a dirigere l’Ufficio pubblicità della grande officina arzignanese. Anni creativi, con i famosi manifesti che ora sono in un prestigioso museo americano a dire della genialità grafica italiana. Geminiani e Bedeschi sono gli ispirati collaboratori del giovane Pellizzari nella “Scuola di Arzignano”: il tempo inebriato dall’arte, dalla musica, dalla letteratura, dalla poesia, dal teatro, dal nuovo cinema. Ma Antonio Pellizzari muore nel 1958 e l’Officina cambia nome. Arriva l’immancabile direttore che vuole rivoluzionare tutto: gli uffici come sigle, gli uomini come numeri. “Da questo momento, lei sarà Ve.Pro”, dice a Geminiani. “No, Ve.Pro sarà lei”, risponde Carlo. E se ne va. Subito il sodalizio con Gabri Chemello. Poi l’ADAS con Lele Rossi e Franco Tizian. I suoi lavori grafici sono inconfondibili. Maestro di stile, di immediatezza, di armonia, di pulizia. Lo cercano per collaborazioni importanti. Non fa conto del denaro: accetta i lavori se sono chiari e motivati. Coltiva l’amicizia nel giardino della felicità. E ogni anno, d’agosto, lo raggiungono a Lavarone gli antichi ragazzi di Faenza: canti, sospiri e ricordi nella parlata romagnola. Il limpidissimo rapporto con Terenzio Sartore nasce fin dal primo grande volume sulla Civiltà Rurale della Val Leogra, edito dall’Accademia Olimpica. L’ultima affettuosa collaborazione è stata con “e-team” di Rinaldo Pellizzari. Amico fraterno di padre David Maria Turoldo, con la sua calda voce di baritono intona i Salmi fin dai primi tentativi poetico-musicali di Sant’Egidio a Sotto il Monte. Ma si incontravano qualche volta anche a Vicenza, al mattino, appena prima del chiaro. Geminiani spingeva la bicicletta fino a Monte Berico; Turoldo usciva dal convento “per non impazzire”. Nel 1992 siamo andati insieme a salutarlo nella clinica di Milano poche ore prima che morisse. E c’era, con lui, tenero, premuroso, commosso, padre Francesco Rigobello.
“Era la notte bianca di Natale, ed era l’ultima notte degli alpini; silenzioso come frullo d’ale ardeva il fuoco grande nei camini”. Nel 1963, Giulio Bedeschi pubblicava da Mursia “Centomila gavette di ghiaccio”. Ispirati dal libro, gli vennero i versi di “Joska la rossa”. Carlo pensava in romagnolo, traduceva in italiano e scriveva in vicentino occidentale. Poi fu “Il ritorno”, che irritò non poco il reducismo più duro. Aggiunse una strofa a “Monte Pasubio”, che piacque tanto a Gianni Pieropan. “La brasolada” scandalizzò i soliti bigotti. Dovemmo, per non litigare con gli ultimi fanatici del militarismo, cancellare “Il disertore”. Vennero altri canti e fu una stagione di amori. Ma Carlo, come me, s’incantava del Natale. “Le stelle in cielo passan piano piano, e nelle case scure ancor si sogna; ghe xe soltanto, sveja, ‘na zampogna che ‘riva dal passato, de lontano: Natale che passa, Natale che viene, volémose bene…”. Usando la terza persona, come i cantastorie, aveva scritto di sé: “È convinto che tutti gli uomini siano buoni”. Ma quando sono arrivati questi arroganti xenofobi che ci comandano perseguitando i poveri del mondo ha cambiato opinione. Rimasto vedovo, ha sposato Olga Ruzzene, come lui forte e generosa e tenera. Conservò l’amicizia più cara e fraterna con Beppe Bedeschi. Passeggiavano insieme sulle colline oltre Lonigo, a Corlanzone, nel parco che conserva l’obice 75/13 degli alpini, che Bedeschi aveva incredibilmente recuperato dalla Campagna di Russia. E una volta Geminiani ha voluto accompagnare Mario Rigoni Stern, altro suo grande amico, a incontrare Bedeschi proprio sulla collina berica dei ricordi. Noi amici si stava in silenzio, discosti. E ci parve di sentirli recitare un’Ave Maria.

Bepi De Marzi

venerdì 20 giugno 2008

RIGONI

Bepi me l'ha mandato per il coro:



da Il Giornale di Vicenza

“La neve verrà leggera come piccole piume d’oca, soffermandosi prima sugli alberi, quindi filtrerà tra i rami posandosi sui cortinari gelati, sugli arbusti di mirtillo, sul muschio…”. Si chiudono così, le quaranta pagine di “Inverni lontani” stampate da Einaudi nove anni orsono.
Io sono certo che in Altipiano, stanotte, nello slargo segreto degli urogalli, il vento di tramontana spargerà una piccola neve. E Asiago, nell’alba, suonerà a lungo il Matìo, il campanone del duomo.
“Ho scritto a Rigoni Stern e mi ha risposto!”. Così le esclamazioni di tanti amici sorpresi dalla sua generosità. Certo: rispondeva a tutti, magari con un breve pensiero, un rapido e poetico saluto. Come nelle dediche sui libri, sempre felici, personalizzate, con l’invito a camminare la montagna, a respirare i boschi. Era meno paziente con gli imperversanti grafomani che perlopiù gli mandavano romanzi da nulla.
E il pellegrinaggio degli ammiratori, dei devoti, anche dei turisti curiosi, che per gli asiaghesi sono pur sempre “i foresti”.
Ma nella casa solitaria al limite del bosco, l’Arboreto salvatico, ha sempre vigilato con intelligente attenzione, con discrezione e dolcezza innamorata, la signora Anna.
Questo suo tempo ultimo prima della malattia è stato libertà, libertà, libertà, più di sempre libertà. Libertà dalle mode delle piccole patrie, come le smanie di passare al Sudtirolo dei suoi compaesani eccitati: “Quanto è difficile, Bepi, convivere con gli imbecilli”. Ironia e libertà dalle angosce politiche: teneva nell’angolo fresco della cantina una bottiglia di bianco friulano per festeggiare l’uscita di scena del Cavaliere. Ma la beveva poi con gli amici, periodicamente, sorridendo sconsolato, e ne metteva una nuova dell’ultima annata. Lo volevano far senatore e ogni tanto qualcuno raccoglieva anche le firme. Dio mio! andare laggiù, accanto agli sbeffeggiati, agli umiliati dalla gentaglia che non riconosce i meriti della scienza, dell’arte, della sapienza, della saggezza. Magari qualche revisionista gli avrebbe urlato che Mussolini aveva mandato gli alpini in Russia per fare le vacanze sulla neve. Non aveva già detto, quello là, che gli oppositori del regime venivano graziosamente tenuti per anni nelle isole delle vacanze esclusive?
Ai ragazzi delle scuole diceva sereno: “Spegnete la televisione e giocate, ma giocate all’aperto: per capire le ore del giorno, per entrare nei segreti delle stagioni; inventateli, i giochi, e correte, e gridate la gioia di vivere”. Poi, guardandosi intorno, severo con gli insegnanti, aggiungeva immancabilmente “e leggete di tutto, ma proprio di tutto, per capire e amare le storie e le genti del mondo”.
Teneva sul balcone, all’entrata di casa, la bandiera della pace, leggera nel vento davanti al Moor che gli ricordava le sere d’estate con l’indimenticabile Gigi Ghirotti. Aveva raccontato a lui per primo la Storia di Tönle.
In dicembre dell’anno scorso si doveva andare insieme a Solagna, lui a raccontare, io a cantare pian piano ciò che mi chiedeva, a leggere della sua neve, degli inverni, degli amici mai più ritornati, dell’Albania, della Russia, dei Lager nazisti dove aveva vissuto l’orrore. Ma c’è stato il primo annuncio del male. E siamo rimasti tutti in doloroso silenzio. Mesi prima, in una mattina di sole asiaghese, si era impegnato per il No Dal Molin. E subito quella livorosa di Vicenza a scrivere di lui militarista! volontario a combattere prima i francesi, poi i greci e infine i comunisti. Volontario? “Sull’Altipiano, per noi ragazzi c’era un detto: o prete, o frate, o fuori con le vacche”. A diciassette anni aveva anticipato il servizio militare che prometteva scalate e sciate in montagna. E lo ha colto la guerra.
Nell’Adunata degli alpini l’hanno portato in Ortigara con l’elicottero.
Lassù, per la messa, gli avevano riservato un posto accanto a un politico logorroico e bigotto, uno dei tanti saltapartito, immancabile con altri esibizionisti anche sul palco d’onore alle sfilate, come a Bassano. Ma lui, Mario della pace, sulla cima della sua Montagna, svicolando, si è tenuto lontano dai figuri del potere confondendosi tra gli alpini “pazienti, quasi rassegnati per una predica che non finiva mai: ma chi l’ha detto che intorno alla Colonna Mozza si debbano ripetere le solite fiabe del catechismo con il moralismo da messa prima?”.
Quando Montebelluna - un’isola di speranza nella trevigianità stordita dal leghismo - lo ha nominato cittadino onorario, è rimasto là tre giorni per incontrare tutti: i ragazzi delle scuole, gli artigiani, i contadini, la gente che gli faceva festa. La domenica mattina, molto presto, in quel duomo enorme, buio e glaciale, abbiamo intonato insieme anche i salmi di Turoldo: “Quando si canta la poesia, a messa non mi annoio mai”. Qualche settimana dopo, per una sua lucida e inattaccabile dichiarazione sul significato di “eroe di guerra” legata ai nostri soldati professionisti e ben pagati mandati in missione in Iraq, i consiglieri comunali della destra pretendevano che restituisse la cittadinanza onoraria.
Ad Asiago, alla vigilia dell’Adunata, la solita impettita consigliera regionale, mentre passava nella via principale con la sua corte, è stata vista prendere a calci il banchetto di cartone di un innocuo e silenzioso ambulante extracomunitario. Gli alpini l’hanno saputo subito. E Mario, spinto suo malgrado a partecipare alla sfilata seduto in camionetta, quando è passato davanti al palco si è girato dall’altra parte.
Libertà, libertà, libertà. Ma che beffa morire nel tempo oscuro del revisionismo, del negazionismo, con Berlusconi imperante!
Ora sto qui a piangere. E m’ingroppano ancor più i passati inverni delle nostre brevi camminate mattutine insieme a Carlo Geminiani. “La neve verrà leggera come piume d’oca, soffermandosi prima sugli alberi…”.
Nell’armoniosa stanza d’entrata della sua casa, con la scala in fondo che porta “di sopra”, c’è la scultura in bronzo di Augusto Murer, “Il sergente nella neve”. È un’immagine dolorosa nella tormenta. Lì, tra le pareti di legno bruno, noi amici più cari abbiamo sempre parlato sottovoce.

Bepi De Marzi

martedì 10 giugno 2008

Quei ragazzi che cantano Bach

Giorni fa, una domenica, via Giulia era bloccata da una folla in coda all’ingresso d’una chiesa, Molti giovanissimi. ragazzi in età da liceo, bambini di scuola media. Che succede, domando: una messa. un incontro con qualcuno di qualche comunità? No, un concerto, risponde una ragazzina con l’apparecchio ai denti. >E' dei grandi del coro del nostro maestro di musica, a scuola. Noi cantiamo il lunedi. Entro. Nella chiesa dello Spirito santo dei Napoletani a occhio ci sono 700 persone. Il programma del concerto ha per titolo “Architetture dell’anima”. Musica barocca. Bach. Vivaldi. La folla e tale che qualcuno minaccia di chiamare la polizia, non è possibile bloccare la strada. Che succede? Chi organizza? Vergogna. Il giorno dopo, lunedi sera, replica. Stessa folla, moltissimi in piedi. stesso programma: concerti di Bach per due pianoforti e archi, Gloria in Re maggiore di Vivaldi. Leggo sul programma: il concerto è donato al Fai. Un regalo. Ma chi organizza, chi finanzia? Nessuno, spiega il maestro di musica di quei ragazzi in coda: i 50 coristi, l’orchestra, i 2 solisti, i 3 pianisti e chi li dirige fanno tutto gratis, sono volontari,>La musica colta non può essere che un regalo’>, dice. E' la norma, aggiunge. Non ci sono istituzioni che finanziano, non c’è pubblicità sui giornali. Chi arriva, le centinaia di persone sono chiamate dai passa parola, «Il nostro compenso sta nella presenza del pubblico> aggiunge il maestro.Si chiama Alessandro Anniballi, insegna musica a scuola. Mi spiega: «E' da quanno ho iniziato a fare concerti che mi sono scontrato con questa anomalia: in Italia la musica classica non si paga. Questo genere di concerti è gratuito. fatti salvi quelli ospitati dai due templi della musica, l’Auditorium e l’Opera, ma ciò conferma la regola. E a ben guardare, a fronte di biglietti dai costi proibitivi, riservati a una mondanità sempre più incolta, scollata dal vero amore per la musica, si offrono produzioni non sempre accurate, a volte stentate. Assistiamo increduli al dispendio di tanto denaro pubblico’. Nella mentalità italiana, dice, è come se la musica classica appartenesse a una categoria del superfluo che non ha bisogno nè diritto d’essere pagata. "Il nostro complesso vocale e orchestrale è fatto di persone che hanno lavorato anni in ambiti accademici, e studiano ore e ore ogni giorno. Ma sono spesso costrette a sbarcare il lunario con altre occupazioni che consentono di pagarsi il lusso della musica: ai tempi della doppia attività riuscire a suonare è ogni volta quasi un miracolo". Mi chiedo come mai la musica abbia cosi poco posto nell’educazione scolastica: alle medie il lavoro nel coro è spesso quel che di meglio i bambini hanno in dote dalla scuola. Poi basta, al liceo non c’è piu niente o quasi. Così l’educazione musicale tocca solo la fascia fra 11 e 13 anni, i loro docenti sono spesso demotivati. oltre che dalle condizioni di lavoro analoghe a quelle di colleghi di altre materie, pure dalla considerazione che questi ultimi riservano loro. La musica nel collegio dei docenti è definita materia “ricreativa”: le altre,materie “di pensiero”. Nella scuola elementare, pur essendo l’insegnamento previsto, non esistono maestri di musica e le attività sono un gioco. Bisognerebbe andarci almeno una volta, a vedere, sentire, i ragazzi pre-adolescenti - gli stessi cui l’insegnante della materia “di pensiero” fatica a togliere il telefonino in classe - bisognerebbe sentirli cantare in 80, canoni, canti gregoriani, Bach. Così, tanto per sapere che, volendo, eventualmente, si potrebbe anche investire lì.

L' articolo è di Concita De Gregorio, pubblicato sulla "Repubbilca delle donne" di sabato 7 giugno 2008.

lunedì 9 giugno 2008

Vi piace Pärt?




... Se avete risposto sì, questo concerto vi può interessare. E' in onda mercoledì, alle ore 22.30 su Radio Rai Tre. In programma ci sono molti brani del compositore estone, tra cui il Magnificat, i due salmi slavi, Da pacem domine e Nunc dimittis. In più, saranno eseguite altre opere di ispirazione sacra di altri autori della stessa provenienza. Il coro è l'Estonian Philarmonic Chamber Choir, interprete storico delle opere di Part.



martedì 3 giugno 2008

Riflessioni

solo chi conosce il coro, solo chi si accorge del magico frullare di ali che c' è quando il coro è contento, del ritmo martellante del suo cuore quando il coro ha paura, della fragilità come di un eleastico in tensione, quando il coro è stanco, solo chi lo ama, sa che ci sono delle regole non scritte, forse solo sussurrate, che si imparano vivendo la vita del coro, anzi condividendo. soffrendo, ridendo, cantando, gioendo, giocando, mangiando, ballando...La prima regola è il RISPETTO. Rispetto per il perchè il coro è nato, cioè la cnvinzione di offrire di regalare la propria voce e il proprio impegno alla comunità per cantare insieme le lodi del Signore. Le lodi del Signore e per il Signore sono una cosa grossa che non si può improvvisare, il coro sa quale rispetto e quale dignità ci vogliono. Rispetto per il maestro che per quanto bello o brutto, grasso o magro, sordo o cieco è il maestro, è tutto il coro è il motore propulsore, è l'adesivo universale. Poi rispetto per ciò che il coro tiene tra le mani. fogli di musica pensati e scritti da gente come Palestrina, Arcadelt, Britten, Bruckner ecc. Ancora a proposito di rispetto, stavolta per quella parte di coro, che non manca mai, che fa carte false con il lavoro e la famiglia, che salta la cena, che sposta le vacanze, quella parte che non può far altro che telefonare per sentirsi vicino. Chi proprio non riesce a capire, chi proprio non ce la fa è meglio che si dedichi a qualcos'altro, il mondo è così grande.


donata bernardis